La disabilità ( o handicap) è la condizione di chi, in seguito a una o più menomazioni , ha una ridotta capacità di interazione con l’ambiente sociale rispetto a ciò che è considerata la norma pertanto è meno autonomo nello svolgere le attività quotidiane e spesso in condizione di svantaggio nell’inserirsi in una vita sociale attiva.
Secondo la classificazione ICIDH ( international classification of impairments disabilites and handicaps ) dell’organizzazione mondiale della sanità si distingue tra menomazione intesa come perdita o anormalità di una struttura o una funzione psicologica, fisiologica, o anatomica.
Se tale disfunzione è congenita si parla di minorazione.
Disabilità ovvero qualsiasi limitazione di agire .
Handicap: svantaggio vissuto da una persona a seguito di disabilità.
L’atteggiamento della maggior parte della gente nei confronti dei disabili, spesso non è positivo, infatti molti non li considerano e li trattano come se non fossero persone come tutte le altre.
Altre volte invece, l’atteggiamento è troppo positivo e si basa più sulla pietà che sull’affetto e sulla relazione.
Bisognerebbe, invece, rendersi conto che una Persona, anche se con qualche fragilità fisica o mentale, è un nostro fratello facente parte, come tutti noi, della comunità umana e che, nonostante i suoi punti di debolezza, può darci tantissimo: basti considerare il talento di Luis Borges, che anche se cieco è stato uno dei massimi scrittori del novecento. E come lui tantissimi altri artisti, scienziati e pensatori.
La nostra società non favorisce abbastanza l’interazione dei disabili, infatti ancora esistono pregiudizi, limitazioni strutturali e barriere architettoniche che impediscono a troppe Persone disabili l’opportunità di vivere condividendo con gli altri il frutto delle proprie competenze e limitano loro la mobilità e la visibilità.
La classe dirigente dovrebbe, perciò, offrire a chi non è in grado di lavorare pensioni dignitose (nei casi più gravi) oppure favorire l’inserimento lavorativo compatibilmente con le specifiche capacità psico-fisiche.
Queste politiche non sono inquadrabili come spese passive, ma devono essere considerate il contributo necessario per una società migliore, più democratica e solidale.
Un’adeguata rete territoriale di servizi sociali è una condizione essenziale per realizzare un’effettiva integrazione delle persone con disabilità nel quotidiano ambiente di vita.
La parola assistenza viene spesso collegata solo alle prestazioni economiche ma non è così.
Per assistenza s’intende una rete di interventi che, utilizzati anche in modo integrato, siano di supporto ad un’azione di integrazione sociale per quei cittadini che, a causa delle loro condizioni psico-fisiche, si trovino in situazioni di svantaggio.
Con il termine assistenza sociale ci si riferisce, quindi, all’insieme delle attività e dei servizi volti a prevenire o ridurre situazioni di bisogno connesse all’età, a stati di svantaggio fisico e psichico o ad altre condizioni di emarginazione.
L’assistenza sociale in favore dei disabili comprende, quindi, interventi integrativi e sostitutivi al nucleo familiare (assistenza domiciliare, affido, strutture residenziali), interventi per facilitare la vita di relazione (servizi di accompagnamento in sedi informative, trasporto scolastico, frequenza di centri sociali e interventi per particolari situazioni di disagio economico e sociale, (contributi economici vari, assegnazione alloggi, ecc.).
L’atteggiamento dell’Amministrazione Pubblica, del mondo politico e della società in generale è ancora sostanzialmente passivo rispetto alla realtà dell’handicap che invece si evolve, si modifica, si trasforma.
Mentre si discute di prevenzione, di diagnosi precoce, di recupero, di inserimento, mentre si mettono a fuoco, in sostanza, i problemi assistenziali del bambino e dell’adolescente con handicap, il tetto dell’età media di un’ampia fascia di questi soggetti va progressivamente alzandosi, grazie anche alle sempre maggiori conoscenze in campo medico e riabilitativo.
In una cultura contadina e in un sistema di famiglie patriarcali, c’era la possibilità di una gestione “privata” del congiunto handicappato adulto; il passaggio ad una civiltà industriale e postindustriale, alla famiglia mononucleare hanno reso questa pratica impossibile, o comunque difficile, imponendo per questi casi soluzioni “sociali”.
Se in passato, per molti giovani disabili giunti all’età adulta, la scelta dell’istituzione chiusa, del manicomio, della clinica specializzata è stata praticamente obbligata, oggi la battaglia per la de-istituzionalizzazione dà i suoi frutti, anche se crea inevitabilmente dei problemi diversi.
L'intervento personalizzato precoce, il tentativo di realizzare un percorso educativo finalizzato al raggiungimento di una ragionevole autonomia, sono delle linee di tendenza valide in assoluto, e propedeutiche, in ogni caso, alla programmazione e alla gestione della vita nell’età adulta.
La svolta nelle politiche in tema di handicap può venire solo dalla formazione, dall'educazione, dall'informazione dell'opinione pubblica, da una strategia corretta e mirata che non può cadere dall'alto, improvvisamente, ma deve avvenire per gradi, con un processo di maturazione dal basso.
G.d.P.