“I vostri figli non sono i vostri figli.
[…] Vengono attraverso di voi, ma non da voi, e benché stiano con voi, tuttavia non vi appartengono.
Voi potete dar loro il vostro amore, ma non i vostri pensieri […]
Voi potete sforzarvi di essere come loro, ma non cercate di renderli simili a voi.
Poiché la vita non va indietro e non si trattiene sullo ieri. [...]” *
Un paio di settimane fa mi è capitato di vedere, nella trasmissione ‘Chi l’ha visto?’, il caso di cronaca di quella ragazza di Polignano a Mare, morta di infarto a 31 anni. Paola, questo il nome della ragazza, da circa quattordici anni non usciva di casa.
Da adolescente ha smesso di andare a scuola e di uscire. A detta della madre la ragazza stava benissimo, quello malato era solo il padre.
Di Paola si erano interessati anche i servizi sociali, ma, non si capisce bene perché, non hanno continuato ad assisterla.
Come mai, mi chiedo, non le hanno ‘rotto le scatole’ di tanto in tanto, essendo a conoscenza della sua esistenza?
Ahimè, di persone che possono apparire degli “scocciatori”, chi ha delle problematiche psichiche, ne ha bisogno!
Non esiste una data di guarigione ma esiste in compenso una data di scadenza della cura: guarire preferibilmente entro quattro sedute, un anno di colloqui.
No, non è così che funziona!
Chi sta male, ha il diritto di metterci tutto il tempo necessario…
Tagliare quella specie di “cordone ombelicale mentale” richiede del tempo. Tempo per acquisire consapevolezza, per acquisire forza, per esercitare la capacità di separare il pensiero del/i genitore/i dal proprio e per crearsi una propria individualità.
Tutto ciò accade con due tiranni alle costole, sempre pronti a scoraggiarti: il primo, la paura del mondo, il secondo è la voglia di non crescere, di rimanere piccoli, nascosti dalle mura di casa e protetti (?) dai genitori.
Purtroppo a questo mondo esiste una particolare tipologia di genitori che vanno “educati” dai figli, spesso, a suon di litigate, discussioni, e rivendicazione del proprio sé.
In alcuni luoghi c’era, sino a non molto tempo fa, un modo di descrivere la nascita di un figlio con l’espressione: “quando ho comprato mio figlio”, non ‘quando ho partorito’ o ‘avuto’ mio figlio’. I figli venivano, quindi, percepiti come una proprietà, tipo un gioiello, una casa, da usare anche come merce di scambio (vedi i matrimoni combinati).
I figli erano mano d’opera a costo quasi zero.
Emanciparsi dalla famiglia è un lavoro certosino, di precisione, chirurgico, che solo con tanta pazienza, cadute e ricadute può dare risultati.
Per esperienza: migliorare non è guarire, fermarsi prima di arrivare a Damasco, non fa mai bene, annulla ogni progresso!
Lady Violet
*Il profeta, Kahlil Gibran, ed. Feltrinelli