La formazione professionale e le cooperative integrate
Il progetto relativo alla formazione professionale dei disabili ha come obiettivo di restituire la dignità di essere umano al disabile attraverso il lavoro, permettendogli di emanciparsi da una situazione in cui è visto solo come un malato da mantenere, assistere, curare, alleviandogli la sofferenza della sua condizione.
Si cerca di raggiungere il lavoro per guadagnare, pagare le tasse, autogestire la propria vita in modo indipendente.
Tale servizio si rivolge ai giovani disabili che abbiano adempiuto all’obbligo scolastico.
L’intervento formativo si articola per lo più in due fasi principali:
- orientamento e formazione polivalente di base nei laboratori;
- formazione professionale in azienda (tirocinio di lavoro).
Gli obiettivi perseguiti mirano a sviluppare apprendimenti da un punto di vista cognitivo, psicomotorio e relazionale: viene stimolato l’orientamento alla professionalità, vengono favorite le possibili soluzioni assistenziali per la vita adulta dei disabili, vengono favorite la socializzazione e l’integrazione sia sociale sia lavorativa, vengono sviluppate le potenzialità in relazione ai bisogni, alla natura degli interessi e delle motivazioni dei disabili interessati.
Un possibile sbocco lavorativo per le persone disabili è rappresentato dalle cooperative integrate sancite dalla legge 382/92 in cui il lavoro non si ottiene perché handicappati, ma costruendo vere e proprie imprese che competono alla pari nel mercato.
Nate originariamente come strumento per il reinserimento degli ex degenti degli ospedali psichiatrici, sono poi cresciute in maniera decisiva, coinvolgendo altri soggetti e altre categorie svantaggiate.
Esse dimostrano la possibilità di coniugare le esigenze produttive con quelle del progetto terapeutico- riabilitativo dei soggetti disabili. In tali cooperative, i disabili sono inclusi tra i soci.
In questo tipo di iniziative, l’inserimento lavorativo è inteso come un’opportunità per i soggetti emarginati di conquistare la piena dignità di lavoratori (partecipazione e responsabilizzazione rispetto alla vita dell’impresa, retribuzione per il proprio lavoro), superando quella concezione assistenziale ancora largamente presente quando si affronta il “problema lavoro”.
I Centri diurni
I centri diurni nascono attorno alla fine degli anni Sessanta inizio degli anni Settanta: non solo l’istituzionalizzazione in termini di ricovero, ma il sistema stesso di servizi specializzati per l’handicap consolidatosi nel decennio precedente (scuole speciali, laboratori protetti, centri riabilitativi ecc.) viene messo in discussione e violentemente attaccato.
Parallelo e separato rispetto al circuito per la “normalità”, tale sistema di servizi viene contestato in nome di una concezione della riabilitazione che non punta più sul versante igienico sanitario, ma su quello sociale: quello che conta è la socializzazione che ha come mezzo principale, e come fine, l’inserimento nei luoghi e nelle istituzioni della vita quotidiana, luoghi e istituzioni che devono cambiare sotto il profilo delle strutture come della cultura per adattarsi e accogliere chi fino a quel momento era stato escluso in quanto ritenuto e vissuto come “diverso”.
Attualmente i centri diurni sono strutture territoriali non residenziali previste per ospitare in ore diurne soggetti handicappati medio- gravi in età post- scolare, allorché si ritiene superata la fase evolutiva, che presentino condizioni di non autosufficienza e pertanto abbiano bisogno di continua assistenza e per i quali non sia stato possibile l'inserimento al lavoro "normale" o "protetto"; nei centri diurni sono, quindi, ammessi i soggetti con disabilità tali da comportare una notevole compromissione dell'autonomia delle funzioni elementari, e per i quali siano stati esperiti tutti gli interventi di tipo riabilitativo sanitario e psico- sociale atti a garantire un reale inserimento in strutture rivolte alla generalità delle persone.
In esse si cerca di assicurare il proseguimento dell'iter socio- riabilitativo, attraverso un insieme organico di attività evitando l'istituzionalizzazione del soggetto handicappato.
Il centro diurno è strutturato come una comunità di vita nella quale ognuno trova i sostegni materiali, relazionali ed affettivi per una vita “autonoma”, l’obiettivo principale è la crescita dei soggetti nella prospettiva di una progressiva e costante socializzazione per sviluppare, pur nella consapevolezza dei limiti oggettivi, le capacità residue e di operare al massimo per il mantenimento dei livelli acquisiti.
E’ una struttura intermedia , affinché non diventi meta definitiva per chi vi entra; aperta , affinché tutta la vita non si esaurisca all’interno, ma si ricerchino le forme possibili di esperienze e di collegamento esterni; è, infine, una struttura di appoggio alla vita familiare particolarmente necessaria per consentire di mantenere al proprio interno la persona handicappata.
Tali strutture devono essere dotate di diverse figure professionali stabili: educatori, assistenti domiciliari e dei servizi tutelari, infermieri, medici, che concorrono, nell’ambito delle proprie competenze, a soddisfare i bisogni nella loro globalità, avendo come momento unificante delle loro specifiche prestazioni il progetto mirato e personalizzato. Per esigenze diagnostiche e riabilitative possono avvalersi di altri servizi del territorio.
Le prestazioni socio- educative- assistenziali sono assicurate dagli educatori i quali, nel rispetto del principio dell’individualizzazione del processo educativo, orientano i loro interventi a raggiungere un più adeguato rapporto della persona handicappata con se stessa, con gli altri e con l’ambiente, e ad acquisire, per quanto ad ognuno è possibile, comportamenti e funzioni indispensabili per la vita di tutti i giorni.
L’azione educativa deve coinvolgere anche il nucleo familiare per renderlo compartecipe del progetto e parte attiva nel realizzarlo.
Si possono individuare più aree in cui inserire una serie di attività diversificate, tali da soddisfare i principali bisogni dei soggetti che frequentano i centri:
- attività educative rivolte al mantenimento e allo sviluppo delle capacità residue e potenziali dell’utente nell’autonomia personale;
- attività educative con significato prevalentemente psicomotorio
- attività educative e di socializzazione;
- attività educative con significato prevalentemente occupazionale;
- attività mirate al mantenimento del livello culturale raggiunto;
- attività sanitarie.
Per garantire prestazioni adeguate e un soddisfacente rapporto tra soggetti ed operatori, il numero degli utenti non dovrebbe superare le 20 unità.
Così come si è visto per l’assistenza domiciliare, anche il centro diurno ha come fine principale quello di mantenere il soggetto handicappato nel suo contesto socio- ambientale.
G.d.P.